martedì 26 luglio 2011

tecnica del flap

Fin dal XIV secolo, alcuni libri anatomici furono illustrati con la tecnica del "flap", una aletta di carta che, sollevata, mostra l'interno del soggetto disegnato o cosa si nasconde sotto una superficie.
Nel '500, l'astronomo tedesco Peter Apian, nel libro Cosmographia, intagliò alcune incisioni calcografiche e ne collegò le varie parti con fili sottili in modo che potessero ruotare l'una rispetto alle altre. Così egli intendeva aiutare la spiegazione e la trasmissione delle informazioni che aveva elaborato nei suoi studi sui corpi celesti.
Per circa due secoli i libri animati restarono confinati fra gli strumenti didattici; solo verso la fine del '700 si avviò una produzione, che trattava temi legati allo spettacolo e al racconto tradizionale o fantastico e vennero pubblicati i primi libri "passatempo".
Va ricordato che una serie di giocattoli ottici anticiparono effetti e contenuti di molti libri tridimensionale stampati nella seconda metà del secolo XIX, effetti che si ritrovarono pure fra le pagine dei pop-up oggi pubblicati. Curiosi apparecchi che utilizzavano le immagini per creare effetti suggestivi, per suscitare la meraviglia e lo stupore, divennero molto popolari nel '700 e nell''800.
Strumenti di origine scientifica, come la lanterna magica, gli specchi curvi per le anamorfosi, le macchine ottiche del precinema, furono trasformati per produrre spettacoli. Fra questi i pantoscopi, le scatole ottiche e i peep show i cui effetti modificati e semplificati, ritroveremo fra le pagine di molti libri pop-up.
Il pantoscopio, una grande scatola di legno con un foro provvisto di lente e uno o più sportellini sui diversi lati, ebbe grande diffusione nel '700. Sulle piazze delle piccole città, nei giorni di festa o di mercato, gli spettatori richiamati dal suono della ghironda o dei tamburelli, dai canti e dalle filastrocche di questi antenati dei cantastorie, potevano assistere ad uno spettacolo meraviglioso. Attraverso la lente, posta sul lato anteriore della cassa, si potevano vedere paesaggi esotici, giardini maestosi, palazzi e piazze delle capitali europee, balli e feste di corte.
Mentre raccontava aneddoti ed episodi legati a quelle immagini, il cantastorie armeggiava con gli sportellini e, davanti agli occhi dello spettatore, sulla veduta illuminata a giorno, di colpo calava la notte che rivelava particolari nascosti o sfuggiti al primo sguardo.
Nello stesso periodo si diffondeva un altro strumento che rievocava le meraviglie degli ambienti: la scatola ottica o diorama teatrale. Si presentava, all'esterno, come una piccola colonnina in legno, o una lunga scatola orizzontale più o meno decorata o intagliata, che poteva sembrare parte dell'arredamento se non fosse stato per un grande "occhio", una lente, rivolto verso il centro della stanza.
Sbirciando attraverso la lente, paesaggi, panorami o interni di palazzi in perfetta tridimensione, si rivelavano agli occhi dello spettatore.
Nei primi anni del XIX secolo, i contenitori di legno vennero eliminati e si costruirono le prime scene a più piani utilizzando solo la carta come poi per i libri.
Ne è un esempio il Peep Show di Marc IsambardBrunel. Nel 1823 egli presentò il progetto per la costruzione di un tunnel sotto il Tamigi che avrebbe collegato due città sulle opposte sponde.
Per costruire il modello di questo progetto, che si prestava in modo particolare ad essere illustrato con la tecnica delle scatole ottiche, sostituì la colonna in legno con un cartone piegato a fisarmonica (come quello di un soffietto fotografico) che permetteva al peep show di essere facilmente richiuso dopo la visione e conservato in libreria.
Le prime immagini da animare a scopo "dilettevole" apparvero nella seconda metà del '700 create verso il 1760 dall'editore londinese Robert Sayer, le Harlequinades, o Metamorphoses Book o Turn Up Book, erano costituite da due immagini stampate su un unico foglio che, tagliato in quattro parti e ripiegato perpendicolarmente su se stesso, sovrapponeva i due disegni nascondendone uno. Sollevando le parti del foglio, le immagini si componevano in nuove combinazioni che davano un risvolto ironico o canzonatorio alla storia che si stava narrando. Sayer pubblicò diversi "racconti di Arlecchino" fra il 1765 e il 1772.

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