Giuseppe Errico
Basile e le origini del racconto fiabesco
Il racconto fiabesco serve per teatrare un’altra storia
rispetto a quello che racconta
RaAK M., 2005
Le storie narrate e rinarrate attraverso tutto il pianeta, anche se con variazioni locali, rispecchiano le costanti biologiche e sociali della specie umana
STEINER G.,2003
Il napoletano Giovambattista Basile[1] (1575-1632) è l'autore della bellissima raccolta di fiabe popolari Lo cunto de li cunti[2], un’opera preparata per il divertimento e il riso delle corti[3], un prototipo della letteratura seriale tra commedia dell’arte, burattini, dicerie, racconto rituale e dissacrante e formulario alchemico (Rak, 2005). Questo autore fu soldato e poi amministratore alla corte[4] del duca d'Acerenza Galeazzo Pinelli nonché governatore di Giugliano in Campania, cittadina nei dintorni di Napoli, dove morì, celeberrimo, nel 1642[5]. La vita di Basile si svolse divisa tra la scrittura, la letteratura (unica e grande passione mai abbandonata), la parentesi militare (in qualità di soldato di ventura) e le diverse esperienze politiche come amministratore o governatore presso varie corti e feudi. Ed è proprio grazie a questi incarichi di natura “tecnica” (gestionale, politica e cultuale), che Basile ebbe modo di conoscere meglio il territorio campano, come varie città, venendo così a contatto con una realtà diversa da quella “metropolitana” della città di Napoli e che, nella sua complessità, fu felice fonte di ispirazione per lo scrittore. Il Soldato Cavalier Basile
«visse al modo solito allora dei letterati, nei servigi delle corti, adempiendo svariati incarichi militari e amministrativi, e altresì poetici»[6].
La carriera poetica di Giovan Battista Basile è
«una dignitosa carriera di letterato secentesco senza voli né eccessi stilistici: destinato, se non fosse per Gian Alesio Abbattutis, a rimanere una delle tante figure di un Parnaso minore, anche se non minimo»[7].
Il letterato divenuto cortigiano alla moda, impegnato in un’attività poetica, spesso d’occasione, in perfetta adesione ai canoni poetici del tempo e fine ed attento conoscitore della lingua letteraria (come dimostra l’impegno filologico e linguistico sui grandi lirici del Cinquecento), quando scrive in napoletano si cela dietro una «maschera anagrammatica»: quella di Gian Alesio Abbattutis (Croce, 1911).
Si narra che fu la sorella Adriana, ricevuta notizia della morte del fratello, a recuperare le carte e i manoscritti dell’artista prima che andassero dispersi: fu grazie alla tempestività e lungimiranza di Adriana Basile, Lo Cunto ed altre opere sono arrivate fino ai nostri giorni. Soprattutto è giunta a noi sicuramente la prima raccolta di racconti fiabeschi destinata, in un primo momento, ad un pubblico di corte, costruito, ad arte, secondo una logica del racconto che prevedeva canzoni, danze, balli, teatro, performance poetiche, giochi di parole, momenti musicali, attrazioni e recitazione: si tratta di un genere nuovo che andrà sotto il nome di fiaba popolare e letteraria e favola.
L'amore per le fiabe, i racconti orali e i motti, il teatro di strada, i burattini (“guarattelle”) e i proverbi lo portò a raccogliere prezioso materiale sia tra la società di corte, che sul “campo”, tra il popolo, nelle taverne (Taverna del Cerriglio) per un’opera letteraria e universale straordinaria che varcò oltre i confini di Napoli sino ad approdare in Europa[8]. Nel racconto fiabesco si intersecano varie componenti: il mito di derivazione classica, il racconto umanistico, la nebulosa del racconto popolare, dei resoconti dei viaggiatori e delle dicerie delle piazze. La prima opera che rappresenta in modo organico e strutturato questo mondo è Lo Cunto de li cunti che nasce come un raffinato racconto multiplo destinato all’intrattenimento della corte, scritto in lingua letteraria napoletana. Nel volgere di settant’anni il suo modello strutturale si trasferisce alla Corte di Parigi e di altre città europee e il suo uditorio si allarga fino a comprendere altri gruppi di fruitori, piccola nobiltà e borghesia cittadina, che tendono ad assimilare gusti e comportamenti a quelli della nobiltà di corte.
Se per tutte le altre opere Basile aveva avuto ricorso alla lingua letteraria di moda, per Lo Cunto, ricorre stranamente al dialetto napoletano.
«dopo un evidentemente protratto lavoro di raccolta dei modi di dire dell’area campana, una assidua frequentazione dei generi del teatro popolare da strada e da piazza, un ascolto ricettivo dei modelli, assai vari, delle tradizioni del racconto popolare e in parallelo con una montante tradizione letteraria in dialetto locale».[9]
Quindi, nei primi anni del Seicento, arriva un uomo che registra con la memoria quel patrimonio poetico, linguistico ed orale del popolo e, quasi per gioco, lo trascrive secondo le sue inconfondibili doti di narratore per il riso di corte. Secondo doti che gli consentono di rispettare, il nocciolo del “fatto”, del cunto, ma anche di aggiungervi particolari che bene si adattano al racconto fiabesco, alla triade conflitto, viaggio e metamorfosi. Nasce così un’opera d’arte originalissima, unica, mai scritta o narrata prima del tempo.
Basile, poeta e letterato di corte, autore, in lingua di odi, madrigali, poemetti religiosi e favole teatrali, non solo gioca con le fiabe ma gioca con se stesso firmandosi con il nome di Gian Alesio Abbattutis, usando il dialetto campano piuttosto che la lingua toscana. Quindi, nella prima metà del ’600, si afferma una vera e propria tradizione letteraria riflessa in lingua napoletana. Una tradizione che accoglie alcuni scrittori narratori: Basile, autore, oltre che del Cunto, anche delle nove egloghe Le muse napoletane;, Giulio Cesare Cortese, autore di una vasta produzione in napoletano, che abbraccia vari generi, dal poema in ottave (Il viaggio di Parnaso), al romanzo in prosa di matrice alessandrina (Li travagliuseammure de Ciullo e Perna), alla favola pastorale (La rosa), al poema eroicomico (La Vaiasseide, Micco Passaro ’nnammorato) e, infine, Felippo Sgruttendio, autore del canzoniere satirico La tiorba a taccone. Si può dunque identificare nel passaggio tra ’500 e ’600 una svolta nella storia della letteratura napoletana e della storia del racconto fiabesco.
Nacque così il suo capolavoro, pubblicato postumo tra il 1634 e il 1636, per volere della sorella Adriana, cantante di corte. Dal Cunto di Basile a Perrault il genere fiabesco si modifica, senza un attimo di tregua, per bocca di autori, oratori, artisti e letterari, di viaggiatori, di cantimbanchi e cantastorie che lo leggono, recitano, interpretano attraverso le riscritture delle novelle e dei libretti. Lo Cunto trovò una notevole fortuna presso le corti italiane ed europee grazie alla sua struttura narrativa adattabile alle varie circostanze e soprattutto grazie al fatto che il racconto fiabesco non ha spessore storico, non utilizza modelli, rinuncia alla memoria storica della letteratura per individuare la memoria storica della cultura locale. Per raccontare una fiaba non è necessario avere schemi o essere fedeli al testo: la fiaba si colloca immediatamente fuori dalla società letteraria, dalle convenzioni e dai miti dei letterati. Per questo il racconto fiabesco di Basile va a collocarsi nello spazio del passatempo, del riso, del piacere della conversazione e poi quello dei giochi (anche teatrali). Più di ogni altro genere letterario il racconto fiabesco non ha confini di gruppo, né vincoli letterari, né limiti alla sua diffusione e uso.
Tale racconto destinato al pubblico o al lettore si adatta facilmente a qualsiasi circostanza o territorio, ma anche a qualsiasi narratore, a qualsiasi lingua e circostanza. A Parigi[10], poi, alla corte di re Luigi XIV dopo essersi mescolato alle moderne pratiche sociali ed aggiornato al costume, diventa, per opera di nobili dame di corte, racconto di fate. La fiaba barocca, partendo dalle corti delle due città europee più rappresentative, Napoli e Parigi[11], percorre un lungo e duraturo tratto culturale ed è organizzata con tutte le astuzie della comunicazione teatrale, a favore del riso. Deve essere attrezzata in modo tale da diventare, nel corso del tempo, un racconto fiabesco colto e poi una fiaba per bambini, magari da leggere prima sul finire della giornata, per conciliare il sonno.
[1]Attualmente ancora incerta è la data e il luogo di nascita di Basile. Secondo la tesi più accreditata, Basile nacque in Giugliano, in provincia di Napoli, nel febbraio del 1566. Scarse sono le notizie sulla sua infanzia; sono noti solo l’appartenenza a una decorosa e numerosa famiglia e il suo forte legame con la sorella Adriana, famosa cantante. Fu sua sorella Adriana, una delle più note "cantatrici" dell'epoca molto apprezzata anche alla corte di Francia, usò tutta la sua influenza per aprire al fratello la carriera di scrittore e di poeta. Onoratissima a Mantova presso la corte di Ferdinando Gonzaga vi presentò il fratello che intanto, nel 1612, a Napoli aveva fondato la celebre "Accademia degli Oziosi ".
[2]La vita di Basile si svolse divisa tra la letteratura, unica e grande passione mai abbandonata, la parentesi militare in qualità di soldato di ventura e le diverse esperienze politiche come amministratore o governatore presso varie corti e feudi. Dal 1600 al 1604 fu al servizio della Repubblica di Venezia, dove ebbe la possibilità di conoscere l'ambiente dei letterati e di farsi introdurre all'Accademia degli Stravaganti. Tornato a Napoli, frequentò l'Accademia degli Oziosi. Visse per un breve periodo alla corte dei Gonzaga a Mantova e successivamente lavorò al seguito della sorella Adriana, una famosa cantante. Ebbe una movimentata giovinezza militare che lo portò da Venezia alla Grecia. Tornato a Napoli, ormai avvezzo alla vita di "cortigiano", si pose sotto la protezione dei potenti Caracciolo d'Avellino, per conto dei quali amministrò alcuni feudi. Fu anche governatore di Avellino e di Lagonegro senza mai interrompere l'attività di poeta e scrittore, sebbene ancora in lingua italiana.
[3] Lo Cunto de li cunti riuniva le più svariate forme di divertimento e di passatempo e rispondeva alle esigenze di una moda: la lettura pubblica di racconti e di novelle cosí come la recitazione di facezie e di motti arguti, musica, balli e giochi avevano lo scopo di fomentare la buona conversazione nel seno della Corte. Si veda a questo proposito B. Castiglione (Il libro del cortegiano) e G. Della Casa (Galateo ovvero de’ costumi).
La finalità narrativa del Cunto de li cunti è essenzialmente ludica. Rak ci ricorda, infatti, che «Il Cunto non è […] una raccolta di racconti popolari trascritti da una penna ironicamente letteraria, è piuttosto un copione destinato al momento del gioco e del riso della corte, un passatempo (trattenimento) perfettamente calibrato sulle complesse regole della conversazione cortigiana» (Rak in Basile, 1986, p. 1058) .
[4] Ricordiamo le tappe principali della carriera di Basile: dopo l’esperienza come soldato a Creta, nelle fila dell’esercito veneziano, durante la quale è più impegnato presso l’Accademia degli Stravaganti, cui è ascritto col nome di Pigro, che non in operazioni rischiose, torna a Napoli nel 1608, dove è accolto presso la corte di Luigi Carafa, principe di Stigliano. E’ tra i fondatori, nel 1611, dell’Accademia degli Oziosi. Nel 1612 raggiunge, a Mantova, alla corte dei Gonzaga, la sorella Adriana. Tornato a Napoli nel 1613, riceve numerosi incarichi vicereali: è governatore feudale a Montemarano nel 1615, a Zungoli nel 1617, ad Avellino nel 1619, dove è tra i fondatori dell’Accademia dei Dogliosi. È ancora governatore regio a Lagolibero nel 1621-22 e ad Aversa nel 1627. L’ultimo incarico, come governatore feudale lo ottiene a Giugliano, poco prima della morte, da Galeazzo Francesco Pinelli, duca d’Acerenza.
[5] Fu proprio grazie a tali incarichi di natura politica che Basile ebbe modo di conoscere meglio il territorio campano, venendo così a contatto con una realtà diversa da quella “metropolitana” della città di Napoli e che, nella sua complessità, fu felice fonte di ispirazione per lo scrittore. La sua opera più importante non trova ambientazione a Napoli bensì nelle zone confinanti: l’entroterra napoletano, il salernitano, l’avellinese, il casertano e la Lucania, dove fu più facile e naturale attingere al patrimonio della memoria popolare, alla tradizione della fiaba e all’elemento della magia che la contraddistingue. Basile amava conoscere questa realtà che tanto lo affascinava ed era solito girare per i luoghi frequentati da gente appartenente a diversi ceti sociali. Dalle corti agli ambienti popolari una apparente contraddizione che è il fulcro della sua opera maggiore.
[6] Croce B., 1911, p.: 3.
[7] Fulco G., 1998, p. 848.
[8]Questi racconti, dedicati al trattenimento burlesco nell'ambito della corte, circolarono dunque liberamente ben oltre ambiente ed altrettanto liberamente furono tradotti, rielaborati, trasformati. In questo modo, grazie all'etichetta LoTrattenimiento de' Peccerille, quest'opera eterogenea e originalissima ha potuto avere una diffusione costante e disomogenea. Nel volgere di settant’anni il suo modello strutturale si trasferisce poi alla Corte di Parigi e di altre città europee e il suo uditorio si allarga fino a comprendere altri gruppi di ascoltatorei e lettori, fruitori, popolino o piccola nobiltà e borghesia cittadina, che tendono ad assimilare gusti e comportamenti a quelli della nobiltà di corte.
[10] Tuttavia è in Francia che prende il via, nel racconto fiabesco, la Fateria, un mondo ‘fatato’ della corte e delle sue dame, un regno da sogno perché alla moda, che racconta alla corte sé stessa e i suoi agi: “La tonalità di fondo di questi racconti è il prezioso, che trasferisce e riadatta le passioni e i conflitti barocchi, soprattutto in tema di galanteria con il suo corredo di abiti, gioielli, arredi e cibi. Il prezioso dispone le sue merci in un pentagono che comprende il lusso, l’élite, il pregio (di mercato), l’ostensione forzata ad attirare lo sguardo ma anche l’uso colto della parola con il suo corredo di figure” (Rak, 2007, p.134).
[11] Tale grande flessibilità della struttura del racconto fiabesco rese possibile la rapida diffusione del capolavoro di Basile oltre i confini dell’Italia fino a raggiungere le corti europee. Nel tempo una serie di antologie, traduzioni, rifacimenti assicurò la circolazione dell’opera mentre,alcuni racconti, furono tradotti in tedesco nel XIX secolo. Successivamente fu tradotta anche l’intera opera con prefazione di uno dei fratelli Grimm, così come circolarono versioni in inglese e in francese. In poco tempo il Cunto è diventato per le culture europee una delle fonti di ispirazione del racconto fiabesco e la più antica e organica lettura del racconto popolare tale da influenzare il lavoro di favolisti come Perrault, Gozzi, Wieland e altri, che ripresero molte delle fiabe create dal Basile.




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