giovedì 21 luglio 2011

Basile e le origini del racconto fiabesco


Giuseppe Errico
Basile e le origini del racconto fiabesco
Il racconto fiabesco serve per teatrare un’altra storia
rispetto a quello che racconta
RaAK  M., 2005

Le storie narrate e rinarrate attraverso tutto il pianeta, anche se con variazioni locali, rispecchiano le costanti biologiche e sociali della specie umana
STEINER G.,2003

Il napoletano Giovambattista Basile[1] (1575-1632) è l'autore della bellissima raccolta di fiabe popolari Lo cunto de li cunti[2], un’opera preparata per il divertimento e il riso delle corti[3], un prototipo della letteratura seriale tra commedia dell’arte, burattini, dicerie, racconto rituale e dissacrante e formulario alchemico (Rak, 2005). Questo autore fu soldato  e poi amministratore alla corte[4] del duca d'Acerenza Galeazzo Pinelli nonché governatore di Giugliano in Campania, cittadina nei dintorni di Napoli, dove morì,  celeberrimo, nel 1642[5]. La vita di Basile si svolse divisa tra la scrittura, la letteratura (unica e grande passione mai abbandonata), la parentesi militare (in qualità di soldato di ventura) e le diverse esperienze politiche come amministratore o governatore presso varie corti e feudi. Ed è proprio grazie a questi incarichi di natura “tecnica” (gestionale, politica e cultuale), che Basile ebbe modo di conoscere meglio il territorio campano, come varie città, venendo così a contatto con una realtà diversa da quella “metropolitana” della città di Napoli e che, nella sua complessità, fu felice fonte di ispirazione per lo scrittore.  Il  Soldato Cavalier Basile 

«visse  al  modo  solito  allora  dei  letterati,  nei  servigi  delle  corti, adempiendo  svariati  incarichi  militari  e  amministrativi,  e  altresì  poetici»[6].

La carriera poetica di Giovan Battista Basile è


«una dignitosa carriera di letterato secentesco senza voli né eccessi stilistici: destinato, se non fosse per Gian Alesio Abbattutis, a rimanere una delle tante figure di un Parnaso minore, anche se non minimo»[7].

Il  letterato divenuto cortigiano  alla  moda,  impegnato  in  un’attività  poetica,  spesso d’occasione,  in  perfetta  adesione  ai  canoni  poetici  del  tempo e  fine  ed attento  conoscitore  della  lingua  letteraria  (come  dimostra  l’impegno  filologico  e linguistico  sui  grandi  lirici  del  Cinquecento),  quando  scrive  in  napoletano  si  cela dietro  una  «maschera  anagrammatica»: quella di  Gian  Alesio Abbattutis (Croce,  1911).
Si narra che fu la sorella Adriana, ricevuta notizia della morte del fratello,  a recuperare le carte e i manoscritti dell’artista prima che andassero dispersi: fu grazie alla tempestività e lungimiranza di Adriana Basile, Lo Cunto ed altre opere sono arrivate fino ai nostri giorni. Soprattutto è giunta a noi sicuramente la prima raccolta di racconti fiabeschi destinata, in un primo momento, ad un pubblico di corte, costruito, ad arte, secondo una logica del racconto che prevedeva canzoni, danze, balli, teatro, performance poetiche, giochi di parole, momenti musicali, attrazioni e recitazione: si tratta di un genere nuovo che andrà sotto il nome di fiaba popolare e letteraria e favola.
L'amore per le fiabe, i racconti orali e i motti, il teatro di strada, i burattini (“guarattelle”) e i proverbi lo portò a raccogliere prezioso materiale sia tra la società di corte, che sul “campo”, tra il popolo, nelle taverne (Taverna del Cerriglio) per un’opera letteraria e universale straordinaria che varcò oltre i confini di Napoli sino ad approdare in Europa[8].  Nel racconto fiabesco si intersecano varie componenti: il mito di derivazione classica, il racconto umanistico, la nebulosa del racconto popolare, dei resoconti dei viaggiatori e delle dicerie delle piazze. La prima opera che rappresenta in modo organico e strutturato questo mondo è Lo Cunto de li cunti che nasce come un raffinato racconto multiplo destinato all’intrattenimento della corte, scritto in lingua letteraria napoletana. Nel volgere di settant’anni il suo modello strutturale si trasferisce alla Corte di Parigi e di altre città europee e il suo uditorio si allarga fino a comprendere altri gruppi di fruitori, piccola nobiltà e borghesia cittadina, che tendono ad assimilare gusti e comportamenti a quelli della nobiltà di corte.
Se per tutte le altre opere Basile aveva avuto ricorso alla lingua letteraria di moda, per Lo Cunto,  ricorre  stranamente  al  dialetto  napoletano. 

«dopo  un  evidentemente  protratto  lavoro  di raccolta  dei  modi  di  dire  dell’area  campana,  una  assidua  frequentazione  dei  generi  del  teatro popolare  da  strada  e  da  piazza,  un  ascolto  ricettivo  dei  modelli,  assai  vari,  delle  tradizioni  del racconto popolare e in parallelo con una montante tradizione letteraria in dialetto locale».[9]

Quindi, nei primi anni del Seicento, arriva un uomo che registra con la memoria quel patrimonio poetico, linguistico ed orale del popolo  e, quasi per gioco, lo trascrive secondo le sue inconfondibili doti di narratore per il riso di corte. Secondo doti che gli consentono di rispettare, il nocciolo del “fatto”, del cunto, ma anche di aggiungervi particolari che bene si adattano al racconto fiabesco, alla triade conflitto, viaggio e metamorfosi. Nasce così un’opera d’arte originalissima, unica, mai scritta o narrata prima del tempo.
Basile, poeta e letterato di corte, autore, in lingua di odi, madrigali, poemetti religiosi e favole teatrali, non solo gioca con le fiabe ma gioca con se stesso   firmandosi con il nome di Gian Alesio Abbattutis, usando il dialetto campano piuttosto che la lingua toscana. Quindi, nella  prima  metà  del  ’600,  si  afferma  una  vera  e  propria  tradizione  letteraria  riflessa  in  lingua  napoletana. Una tradizione che  accoglie  alcuni scrittori narratori: Basile,  autore,  oltre  che  del  Cunto,  anche  delle  nove  egloghe  Le  muse  napoletane;, Giulio  Cesare  Cortese, autore di una vasta produzione in napoletano, che abbraccia vari generi, dal poema in  ottave  (Il  viaggio  di  Parnaso),  al  romanzo  in  prosa  di  matrice  alessandrina  (Li  travagliuseammure  de  Ciullo  e  Perna),  alla  favola  pastorale  (La  rosa),  al  poema  eroicomico   (La   Vaiasseide,   Micco   Passaro   ’nnammorato)   e,  infine,     Felippo Sgruttendio,  autore  del  canzoniere  satirico  La  tiorba  a  taccone.  Si  può  dunque identificare  nel  passaggio  tra  ’500  e  ’600  una  svolta  nella  storia  della  letteratura napoletana e della storia del racconto fiabesco. 
Nacque così il suo capolavoro, pubblicato postumo tra il 1634 e il 1636, per volere della sorella Adriana, cantante di corte. Dal Cunto di Basile a Perrault il genere fiabesco si modifica, senza un attimo di tregua, per bocca di autori, oratori, artisti e letterari, di viaggiatori, di cantimbanchi  e cantastorie che lo leggono, recitano, interpretano attraverso le riscritture delle novelle  e dei libretti. Lo Cunto trovò una notevole fortuna presso le corti italiane ed europee grazie alla sua struttura narrativa adattabile alle varie circostanze e soprattutto grazie al fatto che il racconto fiabesco non ha spessore storico, non utilizza modelli, rinuncia alla memoria storica della letteratura per individuare la memoria storica della cultura locale.  Per raccontare una fiaba non è necessario avere schemi o essere fedeli al testo: la fiaba si colloca immediatamente fuori dalla società letteraria, dalle convenzioni e dai miti dei letterati. Per questo il racconto fiabesco di Basile va a collocarsi nello spazio del passatempo, del riso, del piacere della conversazione e poi quello dei giochi (anche teatrali).  Più di ogni altro genere letterario il racconto fiabesco non ha confini di gruppo, né vincoli letterari, né limiti alla sua diffusione e uso.
Tale racconto destinato al pubblico o al lettore si adatta facilmente a qualsiasi circostanza o territorio, ma anche a qualsiasi narratore, a qualsiasi lingua e circostanza. A Parigi[10], poi, alla corte di re Luigi XIV dopo essersi mescolato alle moderne pratiche sociali ed aggiornato al costume, diventa, per opera di nobili dame di corte, racconto di fate. La fiaba barocca, partendo dalle corti delle due città europee più rappresentative, Napoli e Parigi[11], percorre un lungo e duraturo tratto culturale ed è organizzata con tutte le astuzie della comunicazione teatrale, a favore del riso. Deve essere attrezzata in modo tale da diventare, nel corso del tempo,  un racconto fiabesco colto   e poi una  fiaba per bambini, magari da leggere prima sul finire della giornata, per conciliare il sonno.



[1]Attualmente ancora incerta è la data e il luogo di nascita di Basile. Secondo la tesi più accreditata, Basile nacque in Giugliano, in provincia di Napoli, nel febbraio del 1566. Scarse sono le notizie sulla sua infanzia; sono noti solo l’appartenenza a una decorosa e numerosa famiglia e il suo forte legame con la sorella Adriana, famosa  cantante. Fu sua sorella Adriana, una delle più note "cantatrici" dell'epoca molto apprezzata anche alla corte di Francia, usò tutta la sua influenza per aprire al fratello la carriera di scrittore e di poeta. Onoratissima a Mantova presso la corte di Ferdinando Gonzaga vi presentò il fratello che intanto, nel 1612, a Napoli aveva fondato la celebre "Accademia degli Oziosi ".

[2]La vita di Basile si svolse divisa tra la letteratura, unica e grande passione mai abbandonata, la parentesi militare in qualità di soldato di ventura e le diverse esperienze politiche come amministratore o governatore presso varie corti e feudi. Dal 1600 al 1604 fu al servizio della Repubblica di Venezia, dove ebbe la possibilità di conoscere l'ambiente dei letterati e di farsi introdurre all'Accademia degli Stravaganti. Tornato a Napoli, frequentò l'Accademia degli Oziosi. Visse per un breve periodo alla corte dei Gonzaga a Mantova e successivamente lavorò al seguito della sorella Adriana, una famosa cantante. Ebbe una movimentata giovinezza militare che lo portò da Venezia alla Grecia. Tornato a Napoli, ormai avvezzo alla vita di "cortigiano", si pose sotto la protezione dei potenti Caracciolo d'Avellino, per conto dei quali amministrò alcuni feudi. Fu anche governatore di Avellino e di Lagonegro senza mai interrompere l'attività di poeta e scrittore, sebbene ancora in lingua italiana.

[3] Lo Cunto de li cunti riuniva le più svariate forme di divertimento e di passatempo e rispondeva alle esigenze di una moda: la lettura pubblica di racconti e di novelle cosí come la recitazione di facezie e di motti arguti, musica, balli e giochi avevano lo scopo di fomentare la buona conversazione nel seno della Corte. Si veda a questo proposito B. Castiglione (Il libro del cortegiano) e G. Della Casa (Galateo ovvero de’ costumi).
La finalità narrativa del Cunto de li cunti è essenzialmente ludica. Rak ci ricorda, infatti, che «Il Cunto non è […] una raccolta di racconti popolari trascritti da una penna ironicamente letteraria, è  piuttosto  un  copione  destinato  al  momento  del  gioco  e  del  riso  della  corte,  un  passatempo (trattenimento)  perfettamente  calibrato  sulle  complesse  regole  della  conversazione cortigiana» (Rak in Basile, 1986, p. 1058) .

[4]  Ricordiamo  le  tappe  principali  della  carriera  di  Basile:  dopo  l’esperienza  come  soldato  a Creta, nelle fila dell’esercito veneziano, durante la quale è più impegnato presso l’Accademia degli  Stravaganti, cui è ascritto col nome di Pigro, che non in operazioni rischiose, torna a Napoli nel 1608,  dove  è  accolto  presso  la  corte  di  Luigi  Carafa,  principe  di  Stigliano. E’  tra  i  fondatori,  nel  1611,  dell’Accademia  degli  Oziosi.  Nel  1612  raggiunge,  a  Mantova,  alla  corte  dei  Gonzaga,  la  sorella  Adriana.  Tornato  a  Napoli  nel  1613,  riceve  numerosi  incarichi  vicereali:  è  governatore feudale a Montemarano nel 1615, a Zungoli nel 1617, ad Avellino nel 1619, dove è tra i  fondatori  dell’Accademia  dei  Dogliosi.  È  ancora  governatore  regio  a  Lagolibero  nel  1621-22  e  ad  Aversa nel 1627. L’ultimo incarico, come governatore feudale lo ottiene a Giugliano, poco prima della  morte, da Galeazzo Francesco Pinelli, duca d’Acerenza.

[5] Fu proprio grazie a tali incarichi di natura politica che Basile ebbe modo di conoscere meglio il territorio campano, venendo così a contatto con una realtà diversa da quella “metropolitana” della città di Napoli e che, nella sua complessità, fu felice fonte di ispirazione per lo scrittore. La sua opera più importante non trova ambientazione a Napoli bensì nelle zone confinanti: l’entroterra napoletano, il salernitano, l’avellinese, il casertano e la Lucania, dove fu più facile e naturale attingere al patrimonio della memoria popolare, alla tradizione della fiaba e all’elemento della magia che la contraddistingue. Basile amava conoscere questa realtà che tanto lo affascinava ed era solito girare per i luoghi frequentati da gente appartenente a diversi ceti sociali. Dalle corti agli ambienti popolari una apparente contraddizione che è il fulcro della sua opera maggiore.

[6] Croce B., 1911, p.: 3.

[7] Fulco G.,  1998, p. 848.

[8]Questi racconti, dedicati al trattenimento burlesco nell'ambito della corte, circolarono dunque liberamente ben oltre ambiente  ed altrettanto liberamente furono tradotti, rielaborati, trasformati. In questo modo, grazie all'etichetta LoTrattenimiento de' Peccerille, quest'opera eterogenea e originalissima ha potuto avere una diffusione costante e disomogenea. Nel volgere di settant’anni il suo modello strutturale si trasferisce poi alla Corte di Parigi e di altre città europee e il suo uditorio si allarga fino a comprendere altri gruppi di ascoltatorei e lettori, fruitori, popolino o piccola nobiltà e borghesia cittadina, che tendono ad assimilare gusti e comportamenti a quelli della nobiltà di corte.


[9] Rak  M., in Basile, 1986, p.1057.

[10] Tuttavia è in Francia che prende il via, nel racconto fiabesco,  la  Fateria, un  mondo ‘fatato’ della corte e delle sue dame, un regno da sogno perché alla moda, che racconta alla corte sé stessa e i suoi agi: “La tonalità di fondo di questi racconti è il prezioso, che trasferisce e riadatta le passioni e i conflitti barocchi, soprattutto in tema di galanteria con il suo corredo di abiti, gioielli, arredi e cibi. Il prezioso dispone le sue merci in un pentagono che comprende il lusso, l’élite, il pregio (di mercato), l’ostensione forzata ad attirare lo sguardo ma anche l’uso colto della parola con il suo corredo di figure” (Rak, 2007, p.134).

[11] Tale grande flessibilità della struttura del racconto fiabesco rese possibile la rapida diffusione del capolavoro di Basile oltre i confini dell’Italia fino a raggiungere le corti europee.  Nel tempo una serie di antologie, traduzioni, rifacimenti assicurò la circolazione dell’opera mentre,alcuni racconti, furono  tradotti in tedesco nel XIX secolo. Successivamente fu tradotta anche l’intera opera con prefazione di uno dei fratelli Grimm, così come circolarono versioni in inglese e in francese. In poco tempo il Cunto è diventato per le culture europee una delle fonti di ispirazione del racconto fiabesco e la più antica e organica lettura del racconto popolare tale da influenzare il lavoro di favolisti come Perrault, Gozzi, Wieland e altri, che ripresero molte delle fiabe create dal Basile.

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