martedì 5 luglio 2011

Fiaba e vita

    La  fiaba,   ed  in  questo  concordano  scrittori  e  studiosi  di  diversa  estrazione  disciplinare,  nonostante  la  sua  dimensione  fantastica,  è  fortemente  correlata  alla  vita  vera,  così  problematica, difficile e conflittuale nella sua essenza.
 M.  Lüthi  sottolinea  come  la  fiaba  popolare  europea,  a  differenza  della  leggenda,  non  intenda interpretare, spiegare, abbellire o trasfigurare il mondo. Essa quindi non intende mostrarci come le cose  dovrebbero  andare  nel  mondo,  quanto  piuttosto  come  esse  stanno  in  realtà.  La  sua  tipica caratteristica consiste quindi nel riuscire a rappresentarle in modo trasparente e chiaro, mentre nella vita  esse  appaiono  intricate  e  complesse.  La  fiaba  «non  è  la  poesia  di  come  dovrebbe  essere  il mondo,  nel  senso  che  ce  ne  mostra  uno  solamente  possibile,  un  mondo  che  -  contrariamente  a quello reale - è così come dovrebbe essere, e sul quale si misura il mondo reale (...); non simula   innanzi  ai  nostri  occhi  un  bel  mondo  nel  quale,  per  alcuni  attimi,  possiamo  ristorarci  lo  spirito, dimenticando ogni altra cosa (...). La fiaba intende piuttosto contemplare ed esprimere con le parole come le cose stanno in realtà in questo mondo (...), non ci mostra un mondo in ordine, ci mostra il mondo in ordine. (...) Anche agli orrori e le brutture della vita (morti, atrocità, prove) trovano una loro collocazione, cosicché tutto risulti in ordine» (Lüthi, 1982).    Bruno Bettelheim, che ha analizzato alcuni racconti fiabeschi con criteri psicoanalitici, ritiene  che la fiaba pone gli adulti ed i bambini di fronte ai principali problemi esistenziali, cioè l'amore, la gelosia, l'abbandono, la separazione, il bisogno di essere amato, la paura di non essere considerato, la vecchiaia, la morte, e lo fa in un modo chiaro, essenziale e conciso (Bettelheim, 1982). Ed il messaggio che essa può trasmettere, ai grandi ma soprattutto ai piccoli, è  «che la lotta contro le gravi difficoltà della vita è inevitabile, è una parte intrinseca dell'esistenza umana, che soltanto chi non si ritrae intimorito ma affronta risolutamente avversità inaspettate e spesso immeritate può superare tutti gliostacoli e alla fine uscire vittorioso (...); che una vita gratificante e positiva è alla portata di ciascuno nonostante le avversità, ma soltanto se non si cerca di evitare le rischiose lotte senza le quali nessuno può mai raggiungere una vera identità» (Bettelheim, 1982).
Pure lo scrittore Italo Calvino, nell’introduzione alla sua raccolta di Fiabe Italiane, ritiene che le fiabe  sono  vere,  in  quanto  forniscono  in  forma  simbolica  una  spiegazione  generale  della  vita (Calvino, 2002). Infatti esse costituiscono una sorte di «catalogo dei destini che possono darsi ad un uomo e ad unadonna» nel corso della loro esistenza, «dalla nascita che sovente porta con    un  auspicio  o  una  condanna,  al  distacco  dalla  casa,  alle  prove  per  diventare  adulto  e  poi maturo,  per  confermarsi  come  essere  umano»  (Calvino,  2002).  Nei  racconti  fiabeschi, sottolinea Calvino, si ritrovano  tutti i grandi problemi e le difficoltà esistenziali che gli esseri umani hanno incontrato ed incontreranno nel loro cammino terreno. A livello più generale essi raccontano
«la drastica divisione dei viventi in re e poveri, ma la loro parità sostanziale, nonché la persecuzione dell’innocente e il suo riscatto come termini di una dialettica interna ad ogni vita»(Calvino, 2002). In essi si narra anche l’eterna lotta tra il bene e il male, tra la bontà e la cattiveria, tra la vita e la morte, tra la fortuna e le avversità, nonché il continuo conflitto umano tra il condizionamento e la libertà,  mettendo  in  rilievo  «la  comune  sorte  (degli  uomini)  di  soggiacere  a  incantesimi,  cioè  di essere  determinati  da  forze  complesse  e  sconosciute,  e  lo  sforzo  compiuto  per  liberarsi  e autodeterminarsi, inteso come dovere elementare, insieme a quello di liberare gli altri, anzi il non potersi  liberare  da  soli,  il  liberarsi  liberando». In  questa  narrazione  di origine popolare si trova racchiusa inoltre tutta la filosofia di vita della povera gente, che si svolge, come sottolinea Dino Coltro, «tra due estremi contrapposti: la paura della morte, della fame, della miseria,  del  proprio  “essere  uomini”  dentro  un  destino  prefissato  e  la  speranza  nella  vita  eterna,   nella  buona  sorte,  cercata  nella  fortuna,  assicurata  dal  lavoro,  confermata  dal  guadagno,  senza rifiutare le prove, la fatica, il dolore» (Coltro, 1987).

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