martedì 12 luglio 2011

Cè bisogno di fiabe…

Cè bisogno di fiabe…

Cè bisogno di fiabe…

Conflitti, viaggi e metamorfosinel racconto fiabesco

Basta dire “c’era una volta”

E ci ritroviamo fuori dal mondo reale

Ong W. J.

Il mondo, in qualsiasi epoca,

ha sempre avuto bisogno di un altro mondo

Landi S.

Da qualche tempo mi chiedo se oggi, nella complessa società tecnologica e virtuale[1], ci sia ancora bisogno di fiabe (orali ed espressive), rifletto a cosa le fiabe servano in campo psicologico e sociale al di là di ogni analitica valutazione legata agli aspetti psicoterapeutici e all’attuale epoca cosiddetta del villaggio globale[2]. Tale spunto mi viene dagli scritti di Rak, Zipes, Berardi, Ongini, Cambi, Landi[3] e altri. Tutti i contributi presenti nel volume stanno su questa lunghezza d'onda, ai confini del campo psicologico, oltre che offrirsi come esercizi di approfondimento sulla fiaba, qui si parla e si cerca di comprendere come le fiabe contribuiscono ad una trasformazione positiva dell’interiorità, del nostro immaginario e della nostra conoscenza di persone in viaggio.

La fiaba non è solo un racconto per i bambini come da sempre ci hanno insegnato e inculcato. Essa ha costituito per secoli un ingrediente importante per le comunità umane, per aggregare persone del gruppo, per rinsaldare legami sociali e favorire i riti, non solo per le attività di intrattenimento dei bambini e degli adulti[4]. Anche la funzione di intrattenimento della fiaba, in certo modo dichiarata anche dalle formule iniziali e finali che ribadiscono la sua natura di racconto non vero, è la superficie di una realtà molto più complessa di quanto non appaia a prima vista. Il racconto fiabesco è certamente oggetto di comunicazione emotiva perché piace, ma nello stesso tempo esprime concetti, verità e valori in cui una singola e specifica comunità si riconosce, ed è strumento della trasmissione di quei valori da una generazione all’altra, rinsaldando così legami. Da questo punto di vista, al di là delle indubbie differenze, la funzione delle fiabe non è di natura radicalmente diversa da quella svolta dai miti e dai riti.

Chi scrive quindi evita di mettere insieme storia e oralità (e scrittura) e si sofferma esclusivamente sul valore della narrazione agita, espressiva, dinamica, sull’uso della fiaba teatralizzata contro forme di esclusione e di disagio[5].

viviamo avvolti nella narratività perfusa e sottile irradiata da un sistema di comunicazioni globali la cui forza di penetrazione interstiziale è senza pari nell’intera storia dell’uomo.[6]

Oggi cosa resta dell’antica narrazione fiabesca e dell’oralità nella comunicazione, del raccontare/raccontarsi? Cosa di essa si va poi trasformando? Quello che risulta a chi scrive importante è che fiaba è un genere fondamentalmente orale nella sua genesi: appare sempre orientata verso l’oralità, l’espressività, la creatività umana anche nel caso che si tratti di fiabe scritte. Purtroppo il suo essere confinata agli studi sulle tradizioni popolari (infatti per molti anni stentava a diventare oggetto di studi letterari) ha portato ad ignorare i problemi culturali, stilistici e linguistici. La fiaba – nella sua triplice identità di metafora umana, documento etnologico e di opera d’arte (scrittura/teatro) – può dunque essere considerata come il genere letterario che permette di affrontare in modo esemplare il tema della circolazione delle forme letterarie dall’oralità alla scrittura e viceversa[7]. Ad ogni modo, fuoriuscito dal sistema-corte, «dai castelli alle fiere»,[8] durante mercati e sagre, sui sagrati delle chiese e nelle piazze,[9] il rimatore o narrafiabe itinerante, insieme alle macchine magiche e un esercito di istrioni, giocolieri, buffoni, ciarlatani, funamboli, accorreva per portare il riso, il gioco, il canto, l’illusione; e dove allestiva il suo spettacolo, lí si affollava la gente e, parafrasando Camporesi, il senso della vita cambiava ritmo e dimensione, la farsa prendeva il posto del dramma, lo joculator e il comicus detronizzavano il tragicus. Lo scaltro narratore dunque, si industriava come meglio poteva pur di sopravvivere tra le mille difficoltà di una vita raminga e di superarle, ostentava illimitate conoscenze di luoghi, fatti e persone di tutte le epoche, anche le piú remote e mitiche, di tutti i paesi, anche i piú lontani e leggendari, tracciando cosí le fila della sua storia e anche quella dei prodotti che andava veicolando.

Ed è probabile che il narrafiabe cosí, seguendo il Novati, ci apparisse “speciale”:

dopo aver divertito il suo pubblico col gioco dei dadi, con le caprioli, i salti e le gherminelle, il Roscio plebeo dà di piglio al suo strumento, che è generalmente un liuto, una lira, piú tardi una chitarra, e canta: canta talune strofe di una canzone di gesta, poi uno sboccato favolello, o una leggenda edificante, secondoché il tempo e l’opportunità suggeriscono[10].

Il contastorie di strada poteva narrare fiabe e non solo, ma anche bellissime istorie, parenetici racconti, vite di santi, triviali indovinelli, poemetti esemplari, epici cantari, dilettevoli contrasti e amorose, tragiche novelle creando un campo sterminato di contenuti su cui poggiava una cultura particolare. Si trattava di un universo infinito, costruito oltretutto su personaggi che poi si ritrovavano ad agire in modo perpetuamente rinnovato nei momenti di una riproposizione continua presso diversi uditorî, affidato alla labile memoria dell’oralità dei canterini prima dell’avvento della stampa; poi, una volta affermatasi l’ars artificialiterscribendi, alle pagine stampate alla svelta dei “libretti” ad uso del popolo, anch’essi universo molteplice e reiterato nelle sue forme.

Quindi la fiaba si presentava viva, come unica testimonianza di un mondo in cui «l’anima l’occhio e la mano risultano in stretta connessione»[11] ; infatti, anche se l’atemporalità regnava sovrana (ribadita dal «c’era una volta»), nella narrazione popolare affioraavno accenni ai ritmi di lavoro e alle stagioni: la fiaba è una forma artigianale della narrazione, forse destinata ad estinguersi con il dissolversi di un mondo in cui il lavoro manuale dominavala produzione.

Le dimensioni storica, socio-culturale, antropologica, narratologica, letteraria, morfologica, simbolica, metaforica, utopica, e poi pedagogica, psicologica, psicoanalitica, artistica, etica si fondono nel testo della fiaba, formando un mosaico in cui tutto si tiene e le tessere si stringono in poche, stringate, ripetute parole sostanziali. Parole, quelle delle fiabe, che conducono al mistero, che avvicinano al sogno[12] e che attraggono ma spaventano e inquietano, incoraggiando aggiustamenti e censure, creando spesso angoscia e incertezza agli adulti e divertiti batticuori ai bambini. Storie seducenti, rinarrate e illustrate con speciale maestria, o, troppo spesso, banalizzate e “ripulite” dall’avvincente lato oscuro che suscita ambivalenza e timorosa diffidenza: storie coltivate con passione o allontanate con paura, che emanano una loro esclusiva autorevolezza, perché sono fiabe, soltanto fiabe. La fiaba si presenta come un crocevia di discipline diverse (psicanalisi, psicologia, antropologia, narratologia, folclore, ecc.) e si offre ad una pluralità di letture e chiavi interpretative. La sua forza evocativa ci conduce ad un mondo incantato, alla narrazione, alla stimolazione di visioni, al teatro dell’immaginazione. Nelle Lezioni americane Calvino sottolineava infatti la funzione sciamanica e stregonesca della fiaba, incui la battaglia contro il tempo – contro gli ostacoli che impediscono o ritardano il compimento di un desiderio o il ristabilimento di un bene perduto – si realizza quasi sempre attraverso il volo in un altro mondo[13]:

Credo che sia una costante antropologica questo nesso tra levitazione desiderata e privazione sofferta. È questo dispositivo antropologico che la letteratura perpetua[14] .

Al significato simbolico della fiaba come viaggio, come volo in un altro mondo,allude anche Lavagetto nel saggio Una scala che affonda nelle viscere della terra. Il contributo più interessante di questo intervento di Lavagetto[15]sta nell’aver individuato quel principio di piacere (piacere del testo, della narrazione), a cui il narratore popolare si adegua procrastinando le scadenze di chiusura e rinnovando così lospettacolo prodotto dall’artificio verbale.

…la fiaba offre una sceneggiatura dell’inconscio favorendo un prezioso contatto con gli aspetti pericolosi e incerti, complessi e ambivalenti della realtà[16].

Molti studiosi affermano che fiaba, insieme al mito e alla leggenda, è la prima forma narrativa dell’umanità, forse il primo rito di comunicazione e di relazione sociale.

Il tessuto del fiabesco si estende su una superfice infinita su cui possiamo rinvenire tracce di antiche profondità, infinite combinazioni possibili, contaminazioni e paradossi, ritrovamenti di scarpette e di stivali, abiti fuori moda e sarti che cuciono sottoterra, bare di vetro e secchi volanti, cavalli alati e lupi fedeli più dei cani, lupi seduttivi e uccelli parlanti: invenzioni, fantasticazione, meraviglia, racconto di magia, inverosimile mappa dell’Altrove, la fiaba è al contempo esatta e combinatoria, prevedibile e ripetitiva, ma pure incompiuta, frammentaria, distorta, interrotta, mobile e performativa, aperta a nuovi innesti, dunque ambigua, illusoria, sottile come una piuma nell’aria e profonda come la voragine i cui precipiterà l’orco.[17]

Quindi la fiaba, adagiandosi sacralmente sulla pagina scritta, ha dismesso quell’abito da vagabonda e si è abbigliata da signora agiata, riconoscibile e documentabile. Non che questo sia un male, al contrario ci ha permesso di “conservare” e possedere le fiabe popolari accanto alla fiaba colta e letteraria. Alla lunga, però, è innegabile, la fiaba orale, corporea, impura, scritta nell’alfabeto della drammaturgia di narrazioni mai davvero identiche l’una all’altra, proposta con l’immediatezza della memoria fattasi sapere e destrezza narrativa, quella fiaba è declinata nella zona outsider.

Persino nel territorio della Grande Esclusa, in cui la fiaba e il fiabesco si sono trovati a casa, la tradizione orale che dava respiro vitale al raccontar fiabe è andata gradualmente smarrendo le sue voci[18].

Viviamo un periodo di rinascita della fiaba e non solo nelle sue forme classiche ma anche nei giochi popolari che circolano come fantasye nei video giochi. Tale ricomparsa, relativamente recente, di tali generi nei testi e nelle antologie può significare certamente l'avvenuta decantazione delle scorie ideologiche della contestazione cheaveva comunque accompagnato e, sia pure marginalmente, condizionato il processo di riforma della scuola, ma anche l'implicita rivalutazione degli aspetti non solo letterari, ma anche antropologici e sociologici, inerenti ai due generi. Oggi la riproposizione, nella scuola, della fiaba riposa fondamentalmente sul riconoscimento, da una parte, del valore letterario ed estetico di questo "genere", originariamente appartenente al complesso della letteratura orale, e, dall'altra, delle implicazioni di ordine antropologico e sociologico che quel riconoscimento inevitabilmente veicola.

Tale questione ovvero l’interesse della fiaba nel campo delle scienze umane ha risvegliato in me, che opero dal 1989 nel campo psicologico, il desiderio di intraprendere uno studio sull’utilità della fiaba contro forme di esclusione e la triade “conflitto,viaggio e metamorfosi”, per le categorie a rischio socialee l’evoluzione delle fiabe in campo antropologico e sociale[19].

Se in un’epoca della mia attività letteraria sono stato attratto dai folktales, dai fairytales, non è stato per fedeltà a una tradizione etnica […] né per nostalgia delle letterature infantili […] ma per interesse stilistico e strutturale, per l’economia, il ritmo, la logica essenziale con cui sono raccontate[20] .

Chi scrive tenta di fornire, umilmente, delle risposte a queste principali questioni sull’importanza del racconto fiabesco in campo sociale pur tenendo presente come il valore delle fiabe nella loro storia sia un’impresa difficile se non impossibile.

Le fiabe, dunque, saranno capaci di attivare percorsi trasformativi a livello umano[21], educative nella misura in cui sapremo affrontare i temi della creatività e dell’inclusione sociale, della diversità edell’accoglienza? Le fiabe possono potenziare l’immaginario oppure avranno, ancora una volta, la funzione di distrarre, divertireil pubblico dei minori?

Al centro degli interessi quindi la fiaba nelle culture psicologiche odierne[22] e in campo sociale come la narrazione orale e il gioco del racconto, il mistero e il fascino antico della magia. La fiaba come opportunità di ritrovare la capacità di essere curiosi, diretti, disponibili ai cambiamenti e alle novità, di mettersi in viaggio. Oggi esistono varie forme di cura mediante le fiabe[23].





[1]L’esperienza ci indica afferma Lafforgue che il televisivo e in generale la pregnanza dell’immagine visiva nelle nostre società inducono un fenomeno di «adesività» passiva nel bambino e nell’adulto). Nel senso che si subisce il loro svolgimento senza possibilità dell’andare-e-tornare della riflessione verso l’esperienza interna. Se si chiede ad un bambino di raccontare il cartone animato o il film spesso non sa dire altro che suoni onomatopeici che mimano le procedure della «magia elettronica»: broum, splatch, vroum. Allora si constata l’impossibilità di sapere chi è l’aggressore e chi la vittima, l’impossibilità di descrivere la situazione iniziale, lo sviluppo e la situazione finale (Lafforgue P., Sull’utilità della fiaba in pedagogia, Funzione Gamma, rivista telematica scientifica dell'Università "Sapienza" di Roma, ww.funzionegamma.edu, pp.67).

[2]La fiaba si lega anche al mondo della lettura. Sulla questione dell’interesse per la lettura nella nostra società si può trarre spunto dalla esperienza della fiaba come strumento precursore della curiosità per la lettura e il sapere in generale.

[3] Scrive Landi S. “Chi non vorrebbe vivere nella vita reale momenti magici? Momenti incantevoli e suggestivi? Momenti che esercitano un fascino straordinario, non appartenente alla quotidianità, ma a qualcosa che ha a che fare con il meraviglioso” (Landi S., C’è bisogno di magia…a partire dalla fiaba, in Cambi F., Landi S., Rossi G., La magia nella fiaba. Itinerari e riflessioni, Armando, Roma, 2010, p.13).

[4] Oggi viene percepita come prodotto tipico per l’infanzia: esiste una produzione editoriale specializzata indirizzata ai bambini frutto di un processo di infantilizzazione il cui inizio si può individuare in modo abbastanza preciso nell’attività di trascrizione e rielaborazione di fiabe da parte dei Grimm a partire dai primi anni del secolo XIX.

[5]Il rapporto tra oralità e scrittura è stato spesso presentato sotto la forma di un prima e di un poi, attribuendo alle tradizioni orali caratteristiche di arcaicità e ingenuità primitiva: di inferiorità rispetto alla scrittura, ma anche di maggiore autenticità. Saussure, rimproverava alla scrittura di «offuscare» la visione della lingua, tanto da farlo parlare di «tirannia della lettera»: la parola scritta tende a sostituirsi nei nostri pensieri al-la parola parlata, assurgendo al ruolo di modello incontestabile. Dopo Wittgenstein, non possiamo più ignorare che «il segno linguistico è vivente nell’uso» cioè il suo significato è determinato solo quando è inserito in una concreta e particolare situazione extralinguistica.

[6]Calabrese S., Storytelling: il trionfo della narratività perfusa,p.1, Introduzione, in (a cura di), Calabrese S., Neuronarratologia, Il futuro dell’analisi del racconto, Archetipolibri, Bologna, 2009.

[7] Oltre agli studi sulla fiaba orale tradizionale, sulla sua struttura, sui caratteri stilistici, sulla narrazione in atto, sul contesto in cui essa avviene (magari osservandola dove è tuttora viva, come in Africa) esistono ovviamente altre realtà e altre linee di studio attuali sulla fiaba. Cè innanzi tutto una realtà legata alla tradizione in un modo particolare: il fenomeno dello story-telling e altre linee di ricerca sulla fiaba come l’analisi tematica, lo studio delle modifiche che subiscono i temi di un racconto quando esso, una volta trascritto, passa da una cultura a un’altra, o da una all’altra epoca di una stessa area culturale; gli studi sulla riscrittura delle fiabe, per esempio in senso femminista; sulle trasposizioni letterarie e musicali; gli studi sulla loro utilizzazione in campi diversi: educazione, ideologie politiche, pubblicità.

[8] Cfr. Camporesi P., Rustici e buffoni, Torino, Einaudi, 1991.

[9] La piazza è per Schenda una «circostanza di comunicazione semiletteraria»: Per motivi naturali, metereologici, essa svolge nei paesi dell’Europa mediterranea un ruolo di gran lunga più importante che in quelli del nord. Il mercato giornaliero o settimanale nella piazza del paese (e in particolare la festa annuale del patroni, che dura più giorni) servono non solo per il commercio, ma anche per il divertimento e per lo svago di chi li frequenta. Soprattutto in Italia, ancor oggi talvolta hanno luogo comunicazioni semiletterarie, innanzitutto per opera dei cantastorie e poi anche a mezzo di varie forme di teatro». Lo spazio ‘piazza’ è il luogo nel quale alle persone «vengono trasmessi norme, valori e struttura interpretativa che debbono guidare, insieme al comportamento imitativo appreso in modo diretto, il comportamento sociale ed etico delle persone. Qui vengono mostrati e giudicati positivamente o negativamente, in modo simbolico, lati positivi e negativi della vita in comune. Qui si ride degli stolti e si impara ad essere furbi; qui ci si meraviglia degli avvenimenti terribili e delle catastrofi della storia del mondo e si impara ad accontentarsi della propria sorte…La comunicazione semiletteraria, pertanto, insegna un comportamento sociale e serve anche ad ampliare gli orizzonti cognitivi ed emotivi dell’ascoltatore (Schenda R., Folklore e letteratura popolare: Italia-Germania-Francia, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, 1986, pp. 22-24).

[10] Novati F., La storia e la stampa nella produzione popolare italiana con un elenco di tipografi e calcografi italiani che dal sec. XV al XVIII impressero storie e stampe popolari, Istituto Italiano d’Arti Grafiche, Bergamo, 1907, p.11.

[11] Benjamin W., Angelus Novus, Torino, Einaudi, 1962, pp. 259-260.

[12] Freud, negli stadi iniziali della teoria psicoanalitica, riteneva che per interpretare i sogni fosse necessario riconoscere i simboli e i temi presenti nel folklore. Vedi Freud S., Oppenheim D.E., Dreams in Folklore, New York, International University Press, 1958. Nei decenni successivi molti altri studiosi hanno scritto sulle affinità esistenti tra le fiabe e i sogni, ed è impossibile elencarli tutti qui. Per approfondimenti, vedi Raufman R., The Affinity between the Feminine Dream Narrative and the Fairytale - Examining the Fairytale as a Feminist Genre. University of Haifa, Israel, 2003.

[13] Esempio emblematico di questo procedimento è la fiaba intitolata Testa di bufala, che Calvino considera una delle più suggestive e misteriose tra le fiabe italiane, tanto che «par chieda a gran voce l’interpretazione dell’etnologo». Qui una testa di bufala conduce la protagonista in una dimora sotterranea e principesca, che si raggiunge percorrendo una scala di vetro: immagine suggestiva di leggerezza e insieme di trasferimento in un altro mondo.

[14] Calvino I., Lezioni americane, Garzanti, Milano, 1988, p. 28.

[15] Lavagetto M., in Tutto è fiaba. Atti del convegno internazionale di studio sulla fiaba, Milano, Emme, 1980.

[16] Beseghi E. , introduzione a Berardi M. , Infanzia e fiaba, Bononia University Press, Bologna, 2007, p. 10.

[17]Berardi M. , Infanzia e fiaba, Bononia University Press, Bologna, 2007, p. 97.

[18]Berardi M. , Infanzia e fiaba, Bononia University Press, Bologna, 2007, p

[19]Chi scrive è consapevole che la fiaba popolare ha lasciato il campo alla fiaba tradizionale e che, come conseguenza, gli studiosi si sono potuti gettare su di essa per poter scrivere di quello che qualcun altro aveva scritto. Antropologia, storia e psicologia si sbranano i resti della fiaba popolare.

[20] Calvino I., Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Garzanti, Milano, 1988, p.37.

[21] Lo scritto dimostra i modi in cui le fiabe e i sogni possono avere una complementarità o anche un dialogo reciproco, similmente al modo in cui differenti voci nel gruppo descrivono i conflitti e le dinamiche con cui il gruppo è impegnato nelle fasi che attraversa. Forse questo esempio può illuminare il modo in cui l’affinità tra i sogni e le fiabe possono influenzare il processo interpretativo. L’affinità tra i sogni e le fiabe (Raufman, 2007) contribuisce a riconoscere la possibilità che la fiaba sia composta da diverse voci – sia quella infantile che quella matura – che sviluppano un interessante dialogo. Come in molti altri casi, il racconto del sogno diviene un evento sociale, cui tutto il gruppo partecipa . Esplorando reazioni emotive, bisogni, paure, desideri e norme del gruppo come entità collettiva, era possibile facilitare i processi relativi sia all‟interpretazione del sogno sia al conflitto che teneva impegnato il gruppo nel suo complesso, non solo la narratrice del sogno.

[22]Appare del tutto singolare come la piazza JemaaElFna a Marrakech, sia dichiarata dall’Unesco nel 2001 "Patrimonio orale e immateriale dell’Umanità". Tale luogo, da secoli, accoglie una moltitudine di lingue, culture e tradizioni: ogni forma di “spettacolo” viene “messa in scena” a ogni ora del giorno e della notte. Gesti ripetuti sempre uguali, dalle radici perdute nella più remota antichità, narrazioni, attività di guaritori e scrivani, tutto quanto possa radunare il popolo, tenerlo unito attorno a un centro d’interesse, sacro o profano che sia, ricreando quel concetto di "Umma" che supplisce alla generica mancanza di una piazza con le sue funzioni aggregative nelle città musulmane, svolte usualmente dalla moschea, e dando origine a una particolare mescolanza.

[23] Tra tutti i generi di testi letterari usati come “terza voce” le fiabe hanno un posto speciale. Esse svolgono un ruolo importante nel processo di socializzazione, una funzione che comporta maggiori implicazioni terapeutiche. Ascoltare testi letterari nella nostra prima infanzia, sia raccontati oralmente che letti ad alta voce dai libri, costituisce una delle nostre prime esperienze, e lascia una potente impressione sul nostro sviluppo successivo. Questa possibilità ha un valore terapeutico e ci mette in grado di sostenere un dialogo con il nostro passato da un punto di vista adulto.

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