sabato 25 giugno 2011

BASILE E LE ORIGINI DELLE FIABE (Anteprima) di Giuseppe Errico

Giuseppe Errico
Basile e le origini del racconto fiabesco

Il soldato Basile

Il napoletano Giovambattista Basile[1] (1575-1632) è l'autore della bellissima raccolta di fiabe popolari Lo cunto de li cunti[2], un’opera preparata per il divertimento delle corti, un prototipo della letteratura seriale tra commedia dell’arte, burattini, racconto rituale e dissacrante e formulario alchemico (Rak, 2005). L'amore per le fiabe, i racconti orali e i motti, il teatro di strada, i burattini (“guarattelle”) e i proverbi lo portò a raccogliere prezioso materiale sul “campo”, tra il popolo, per un’opera letteraria e universalestraordinaria che varcò oltre i confini di Napoli sino ad approdare in Europa[3]: nacque così il suo capolavoro, pubblicato postumo tra il 1634 e il 1636 per volere della sorella Adriana, cantante di corte. Un capolavoro calibrato sulle regole del teatro, della conversazione di corte, un copione destinato al riso di corte a partire dal popolo, dalla vita quotidiana del popolo campano, un passatempo-trattenemiento. Questo autore fu soldato  e poi amministratore alla corte[4] del duca d'Acerenza Galeazzo Pinelli nonché governatore di Giugliano in Campania, cittadina nei dintorni di Napoli, dove morì,  celeberrimo, nel 1642[5]. La vita di Basile si svolse divisa tra la letteratura, unica e grande passione mai abbandonata, la parentesi militare in qualità di soldato di ventura e le diverse esperienze politiche come amministratore o governatore presso varie corti e feudi. Ed è proprio grazie a questi incarichi di natura politica che Basile ebbe modo di conoscere meglio il territorio campano, venendo così a contatto con una realtà diversa da quella “metropolitana” della città di Napoli e che, nella sua complessità, fu felice fonte di ispirazione per lo scrittore. Il  Cavalier Basile  «visse  al  modo  solito  allora  dei  letterati,  nei  servigi  delle  corti, adempiendo  svariati  incarichi  militari  e  amministrativi,  e  altresì  poetici»[6]. La carriera poetica di Giovan Battista Basile è «una dignitosa carriera di letterato secentesco senza voli né eccessi stilistici: destinato, se non fosse per Gian Alesio Abbattutis, a rimanere una delle tante figure di un Parnaso minore, anche se non minimo»[7].Il  letterato–cortigiano  alla  moda,  impegnato  in  un’attività  poetica,  spesso d’occasione,  in  perfetta  adesione  ai  canoni  poetici  del  tempo,  ma  anche  fine  ed attento  conoscitore  della  lingua  letteraria,  come  dimostra  l’impegno  filologico  e linguistico  sui  grandi  lirici  del  Cinquecento,  quando  scrive  in  napoletano  si  cela dunque  dietro  la  «maschera  anagrammatica» (Croce,  1911)  di  Gian  Alesio Abbattutis.
Si narra che fu la sorella Adriana, ricevuta notizia della morte del fratello,  a recuperare le carte e i manoscritti dell’artista prima che andassero dispersi:grazie alla tempestività e lungimiranza di Adriana Basile, Lo Cunto ed altre opere sono arrivate fino ai nostri giorni. Soprattuttoè giunta a noi sicuramente la prima raccolta di racconti fiabeschi, un genere nuovo che andrà sotto il nome di fiaba popolare e letteraria e favola. Questa raccolta di fiaba delle fiabe è vasta, complessa e di una “bellezza straordinaria”. Tale ricchezza - almeno per quanto riguarda i temi e gli intrecci - esisteva da sempre nella memoria collettiva popolare.Quest’arte antica orale del fabulare può dirsi di gran lunga più antica della storia stessa e non è limitata ad una civiltà[8].

Di luogo in luogo possono differire i temi delle storie; di paese in paese o di secolo in secolo possono mutare le condizioni del fabulare, ma dovunque la fiaba risponde alle stesse fondamentali necessità sociali e individuali. Di fronte alla richiesta di divertimento per riempire le ore di ozio, i popoli… hanno sempre trovato nel racconto di favole un passatempo dei più felici… Le leggende si ingrossano con l’essere raccontate…Una testimonianza particolarmente tangibile dell’ubiquità e dell’antichità della fiaba popolare è rappresentata dalla grande somiglianza di contenuto fra i racconti dei popoli più diversi. E’ sorprendente e sconcertante la disseminazione in tutte le parti del mondo degli stessi tipi di fiabe e degli stessi motivi narrativi[9]

Si presuppone che ogni generazione aggiunga alle storie locali i propri significati, metafore e simboli e l’una e gli altri trasmettono alla generazione successiva.
Quindi, nei primi anni del Seicento, arriva un uomo che registra con la memoria quel patrimonio poetico orale del popolo e, quasi per gioco, lo trascrive secondo il suo sentire, secondo le sue inconfondibili doti di narratore: Doti che gli consentono di rispettare, sì, il nocciolo del “fatto”, del cunto, ma gli danno agio di aggiungervi particolari che bene si adattano alla favola e di farne così un’opera d’arteoriginalissima, unica.


[1]Ancora incerta è la data e il luogo di nascita di Basile.Secondo la tesi più accreditata, Basile nacque in Giugliano, in provincia di Napoli, nel febbraio del 1566. Scarse sono le notizie sulla sua infanzia; sono noti solo l’appartenenza a una decorosa e numerosa famiglia e il suo forte legame con la sorella Adriana, nota all’epoca come cantante di corte.Nato a Napoli nel 1575, Basile  scrivendo in napoletano diede senza dubbio un contributo notevole nel caratterizzare il dialetto napoletano come lingua di grande creatività letteraria  insieme all'altro grande esponente, suo amico, Giulio Cesare Cortese.
[2]La vita di Basile si svolse divisa tra la letteratura, unica e grande passione mai abbandonata, la parentesi militare in qualità di soldato di ventura e le diverse esperienze politiche come amministratore o governatore presso varie corti e feudi.Dal 1600 al 1604 fu al servizio della Repubblica di Venezia, dove ebbe la possibilità di conoscere l'ambiente dei letterati e di farsi introdurre all'Accademia degli Stravaganti. Tornato a Napoli, frequentò l'Accademia degli Oziosi. Visse per un breve periodo alla corte dei Gonzaga a Mantova e successivamente lavorò al seguito della sorella Adriana, una famosa cantante. Ebbe una movimentata giovinezza militare che lo portò da Venezia alla Grecia. Sua sorella Adriana, una delle più note "cantatrici" dell'epoca molto apprezzata anche alla corte di Francia, usò tutta la sua influenza per aprire al fratello la carriera di scrittore e di poeta. Onoratissima a Mantova presso la corte di Ferdinando Gonzaga vi presentò il fratello che intanto, nel 1612, a Napoli aveva fondato la celebre "Accademia degli Oziosi ". Tornato a Napoli, ormai avvezzo alla vita di "cortigiano", si pose sotto la protezione dei potenti Caracciolo d'Avellino, per conto dei quali amministrò alcuni feudi. Fu anche governatore di Avellino stessa e di Lagonegro senza mai interrompere l'attività di poeta, sebbene ancora in lingua italiana.La vera gloria la ebbe dai componimenti in dialetto seguendo la via segnata dalla "Vajasseide"  dell'amico Cortese (scrittore dell'epoca).

[3]Questi racconti, dedicati al trattenimento burlesco nell'ambito della corte, circolarono dunque liberamente ben oltre ambiente, ed altrettanto liberamente furono tradotti, rielaborati, trasformati. In questo modo, grazie all'etichetta di futilità posta dall'indicazione del titolo LoTrattenimiento de' Peccerille, quest'opera eterogenea e originalissima ha potuto avere una diffusione grande e disomogenea.

[4]  Ricordiamo  le  tappe  principali  della  carriera  di  Basile:  dopo  l’esperienza  come  soldato  a Creta, nelle fila dell’esercito veneziano, durante la quale è più impegnato presso l’Accademia degli  Stravaganti, cui è ascritto col nome di Pigro, che non in operazioni rischiose, torna a Napoli nel 1608,  dove  è  accolto  presso  la  corte  di  Luigi  Carafa,  principe  di  Stigliano,  ed  è  tra  i  fondatori,  nel  1611,  dell’Accademia  degli  Oziosi.  Nel  1612  raggiunge,  a  Mantova,  alla  corte  dei  Gonzaga,  la  sorella  Adriana,  celebre  cantante.  Tornato  a  Napoli  nel  1613,  Basile  riceve  numerosi  incarichi  vicereali:  è  governatore feudale a Montemarano nel 1615, a Zungoli nel 1617, ad Avellino nel 1619, dove è tra i  fondatori  dell’Accademia  dei  Dogliosi.  È  ancora  governatore  regio  a  Lagolibero  nel  1621-22  e  ad  Aversa nel 1627. L’ultimo incarico, come governatore feudale a Giugliano, lo riceve, poco prima della  morte, da Galeazzo Francesco Pinelli, duca d’Acerenza.

[5] Ed è proprio grazie a questi incarichi di natura politica che Basile ebbe modo di conoscere meglio il territorio campano, venendo così a contatto con una realtà diversa da quella “metropolitana” della città di Napoli e che, nella sua complessità, fu felice fonte di ispirazione per lo scrittore. La sua opera più importante, Lo Cuntonon trova ambientazione a Napoli bensì nelle zone confinanti: l’entroterra napoletano, il salernitano, l’avellinese, il casertano e la Lucania, dove fu più facile e naturale attingere al patrimonio della memoria popolare, alla tradizione della fiaba e all’elemento della magia che la contraddistingue. Basile amava conoscere questa realtà che tanto lo affascinava ed era solito girare per i luoghi frequentati da gente appartenente a diversi ceti sociali. Dalle corti agli ambienti popolari una apparente contraddizione che è il fulcro della sua opera maggiore.

[6] Croce 1911: 3.

[7] Fulco 1998: 848.

[8] Fiabe popolari si incontrano qua e là già in raccolte precedenti. Predecessore di Basile, nel ’500, è Giovan Francesco Straparola, con le sue Piacevoli notti (1550), il quale, però, pur attingendo  al  materiale  popolare  e  fiabesco  e  ricorrendo,  in  un  paio  di  casi,  al  dialetto,  «si  sforzò  di  narrare  secondo il modo solito e prestabilito e non seppe far risonare una nuova corda» (Jacob Grimm, cit. in  Croce 1911: 52). Solo con Lo Cunto de li cunti, dunque, le fiabe «fecero ingresso aperto e rumoroso»nel  mondo  della  letteratura,  «sfoggiando  tutta  la  pompa  dell’immaginazione  popolare  e  parlandone  l’ingenuo  e  pittoresco  linguaggio»  (Croce 1911:  52).  Basile  fonda,  e  formalizza,  un nuovo  modello  narrativo, il racconto fiabesco, che si diffonderà in tutta Europa: «Non era un modello nuovissimo per  le  diverse  tradizioni  del  racconto,  ma  nessun  altro  testo  ha  individuato  un  così  organico  insieme  di  strutture  elementari  poi  costanti  nella  narrativa  fiabesca»  (Rak,  introd.  a  Basile  1986:  XXXIX).  In  particolare, il racconto fiabesco, o meglio l’elaborazione letteraria del racconto fiabesco, inteso come  strumento di intrattenimento cortigiano, conoscerà una grande fortuna, nella seconda metà del ’600,  alla corte francese del Re Sole. 


[9]S. Thompson, La fiaba nella tradizione popolare, Milano 1967, pp. 20-21

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